Un comitato cittadino chiedeva al Sindaco del Comune di adottare ogni atto utile ad evitare la grave situazione sanitaria dovuta all’inquinamento ambientale proveniente, in prevalenza, da lavorazioni di tipo industriali.
Dinanzi all’inerzia protratta del Sindaco, il predetto comitato interponeva gravame per la declaratoria di illegittimità del silenzio serbato, in particolare per violazione del principio comunitario di massima precauzione, degli artt. 50 e 54 del T.U.E.L. e dell’art. 217 del testo unico leggi sanitarie (TUS) e del conseguente obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso
La posizione del Tar
Ad avviso del Tar il ricorso deve ritenersi fondato.
I giudici amministrativi circoscrivono la loro indagine alla verifica della ricorrenza di un obbligo per il Comune di provvedere sulla domanda di parte ricorrente articolando il loro esame nei seguenti due momenti:
a) appurare se effettivamente ricorra nel caso in esame un comportamento
inerte della p.a.;
b) verificare che lo stesso non sia giustificato dalla manifesta infondatezza dell’istanza predetta: unico limite che la giurisprudenza ravvisa all’obbligo di provvedere dell’Amministrazione, infatti, è quello della manifesta infondatezza -o assurdità, genericità, etc.- della pretesa del privato.
Quanto al punto sub a) il Tar rileva come, a fronte dell’istanza notificatagli dal comitato ricorrente, non risultava che il Comune avesse mai adottato al riguardo alcun provvedimento.
Quanto al punto sub b), i giudici precisano che il giudizio di non manifesta infondatezza deve svolgersi attraverso l’analisi di tre particolari profili:
a) l’esistenza di uno specifico “potere amministrativo” in capo al Comune onde intervenire nel senso indicato;
b) la sussistenza di “legittimazione” in capo al comitato ricorrente al fine di poter invocare l’esercizio di siffatto potere;
c) la sussistenza – sebbene in chiave latamente intesa – dei “presupposti” per l’esercizio del potere stesso.
In ordine al primo aspetto, secondo i giudici, l’esistenza di uno specifico “potere amministrativo” in capo al Comune deve essere riconducibile non al potere di ordinanza di cui agli artt. 50 e 54 del T.U.E.L. quanto, piuttosto, all’art. 217 del testo unico leggi sanitarie di cui al R.D. n. 1265 del 1934.
Il ricorso al suddetto potere di ordinanza è infatti ammesso nei soli casi in cui non è possibile attivare le normali procedure, qui ancora esperibili per
mancanza di indizi di segno contrario.
Ebbene, a norma del citato art. 217 “quando vapori, gas o altre esalazioni … provenienti da manifatture o fabbriche, possono riuscire di pericolo o di danno per la salute pubblica, il podestà (oggi il sindaco, ovviamente) prescrive le norme da applicare per prevenire o impedire il danno”.
Il sindaco agisce in questa veste quale autorità sanitaria locale chiamato ad esercitare poteri-doveri di controllo a tutela dell’ambiente e della salute pubblica, anche in caso di persistente inerzia dei competenti organismi regionali e statali nelle suddette materie: dunque, l’oggetto proprio dell’istanza di cui si chiede in questa sede l’adempimento.
Ai sensi degli art. 216 e 217 t.u. 27 luglio 1934 n. 1265, il sindaco è infatti titolare di un generale potere di vigilanza sulle industrie insalubri e pericolose che può anche concretarsi nella prescrizione di accorgimenti relativi allo svolgimento dell'attività, volti a prevenire, a tutela dell'igiene e della salute pubblica, situazioni di inquinamento, e tale potere è ampiamente discrezionale ed esercitabile in qualsiasi tempo, sia nel momento in cui è richiesta l'attivazione dell'impianto, sia in epoca successiva (Tar Veneto 1754/1997.
Presupposto per l’esercizio di siffatto potere è la sussistenza di un concreto pericolo per l’ambiente e dunque per la salute pubblica, da valutare complessivamente a seguito di attenta ed approfondita istruttoria, e dunque previa consultazione ed avviso degli organismi competenti in materia sanitaria
ed ambientale (ASL, ARPA, etc.), nei sensi ed alle condizioni previste dall’art. 16 della legge n. 241 del 1990.
I giudici evidenziano ancora come tale potere, il cui mancato esercizio in presenza dei prescritti presupposti (fenomeni di grave inquinamento ambientale e conseguente pericolo per la salute pubblica) determina tra l’altro i reati di danneggiamento e di omissione di atti d’ufficio ai sensi dell’art. 328, comma 1, c.p., sia tuttora esercitabile –per pacifica giurisprudenza (Tar Liguria 68/1996; CdS 1080/1992)- anche in presenza di norme specifiche in materia di inquinamento come ad esempio il d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203 (cfr. Tar Piemonte 37/1998).
Da quanto sopra detto deriva dunque, secondo il Tar, la presenza del primo requisito (sussistenza di potere amministrativo).
Secondo il giudice amministrativo e in relazione al secondo aspetto, la “legittimazione” del comitato ricorrente a chiedere l’attivazione dei poteri sindacali di cui all’art. 217 TUS può essere ricavata, in primo luogo, dalla lettura dell’art. 3-ter del decreto legislativo n. 152 del 2006 (codice dell’ambiente), come introdotto dal decreto legislativo n. 4 del 2008.
Tale disposizione, rubricata “principio dell’azione ambientale”, prevede infatti che “la tutela dell’ambiente … deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche e private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, del’azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente”.
Viene in questo modo consacrato il modello di “governance ambientale”, ossia di un modello di gestione dei beni ambientali non più ispirato al classico modello gerarchico ma ad un nuovo stile di governo caratterizzato da un maggior grado di cooperazione ed interazione tra poteri pubblici da una parte ed attori non statuali dall’altra parte (realtà economica e realtà sociale).
Ora, se si considera: da un lato, che la garanzia di un ambiente salubre costituisce condizione preliminare (e fondamentale) per consentire altresì un adeguato livello di tutela della salute pubblica; dall’altro lato, che lo stesso art. 217 TUS è sì preordinato al controllo della stessa salute pubblica ma, ancora più a monte, alla prevenzione o alla gestione di gravi fenomeni di inquinamento (cfr. Cass. Pen., sez. VI, 2 ottobre 1985, n. 8465), ecco che, secondo il Tar, ben può riconoscersi ad un comitato come quello in esame la legittimazione ad agire nella direzione sopra indicata.
Alle stesse conclusioni (legittimazione a richiedere un provvedimento espresso) si perviene, secondo i giudici amministrativi, considerando che la giurisprudenza amministrativa ha tra l’altro riconosciuto l’obbligo di provvedere, oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge, anche nelle ipotesi in cui l’esercizio del potere amministrativo non richiede -come nella specie (art. 217 TUS)- che il relativo procedimento sia avviato ad iniziativa di parte privata.
Sussistono infatti casi in cui, per ragioni legate alla generale doverosità dell’azione amministrativa, nonché per ragioni di giustizia ed equità, si impone l’adozione di un provvedimento ad istanza di parte anche laddove tale iniziativa non sia prevista espressamente dalla legge (CdS 7975/2004).
Secondo tale impostazione, “indipendentemente dall’esistenza di specifiche norme che impongano ai pubblici uffici di pronunciarsi su ogni istanza non palesemente abnorme dei privati, non può dubitarsi che, in regime di trasparenza e partecipazione, il relativo obbligo sussiste ogniqualvolta esigenze di giustizia sostanziale impongano l’adozione di un provvedimento espresso, in ossequio al dovere di correttezza e buona amministrazione, in rapporto al quale il privato vanta una legittima e qualificata aspettativa ad una esplicita pronuncia”.
Alla luce di quanto appena detto, se si considera anche qui che il suddetto modello di governance ambientale si fonda proprio sulla massima trasparenza dell’azione amministrativa e sulla più ampia partecipazione dei soggetti privati(preferibilmente organizzati mediante enti esponenziali) ai processi decisionali, i giudici convengono sulla necessità che gli stessi soggetti privati possano agire, a tutela degli interessi della collettività in materia ambientale e sanitaria, anche mediante la richiesta di attivazione di determinati poteri pubblicistici.
Sussiste dunque, secondo il Tar e per i motivi anzidetti anche il requisito della legittimazione, in capo al comitato ricorrente, a richiedere ed ottenere un provvedimento espresso in merito alla problematiche specificamente sollevate.
Quanto al terzo ed ultimo aspetto, la sussistenza dei “presupposti” -sebbene da intendersi in senso lato- può ben essere ricondotta, secondo i giudici, alle analisi compiute da plurimi e qualificati organismi pubblici in materia sanitaria ed ambientale (Arpa, Asl, nonché Università ) e prodotte nel presente giudizio da cui si traevano dati piuttosto allarmanti, costituiti in sostanza dalla presenza di patologie legate alla particolare incidenza di fattori di origine per l’appunto industriale; rimanendo, ovviamente, non preclusa all’autorità comunale la possibilità di attivare ulteriori canali istituzionali di consultazione a carattere tecnico-scientifico, nell’obiettivo condiviso di giungere ad una seria ed approfondita istruttoria.
Dinanzi all’inerzia protratta del Sindaco, il predetto comitato interponeva gravame per la declaratoria di illegittimità del silenzio serbato, in particolare per violazione del principio comunitario di massima precauzione, degli artt. 50 e 54 del T.U.E.L. e dell’art. 217 del testo unico leggi sanitarie (TUS) e del conseguente obbligo di concludere il procedimento con un provvedimento espresso
La posizione del Tar
Ad avviso del Tar il ricorso deve ritenersi fondato.
I giudici amministrativi circoscrivono la loro indagine alla verifica della ricorrenza di un obbligo per il Comune di provvedere sulla domanda di parte ricorrente articolando il loro esame nei seguenti due momenti:
a) appurare se effettivamente ricorra nel caso in esame un comportamento
inerte della p.a.;
b) verificare che lo stesso non sia giustificato dalla manifesta infondatezza dell’istanza predetta: unico limite che la giurisprudenza ravvisa all’obbligo di provvedere dell’Amministrazione, infatti, è quello della manifesta infondatezza -o assurdità, genericità, etc.- della pretesa del privato.
Quanto al punto sub a) il Tar rileva come, a fronte dell’istanza notificatagli dal comitato ricorrente, non risultava che il Comune avesse mai adottato al riguardo alcun provvedimento.
Quanto al punto sub b), i giudici precisano che il giudizio di non manifesta infondatezza deve svolgersi attraverso l’analisi di tre particolari profili:
a) l’esistenza di uno specifico “potere amministrativo” in capo al Comune onde intervenire nel senso indicato;
b) la sussistenza di “legittimazione” in capo al comitato ricorrente al fine di poter invocare l’esercizio di siffatto potere;
c) la sussistenza – sebbene in chiave latamente intesa – dei “presupposti” per l’esercizio del potere stesso.
In ordine al primo aspetto, secondo i giudici, l’esistenza di uno specifico “potere amministrativo” in capo al Comune deve essere riconducibile non al potere di ordinanza di cui agli artt. 50 e 54 del T.U.E.L. quanto, piuttosto, all’art. 217 del testo unico leggi sanitarie di cui al R.D. n. 1265 del 1934.
Il ricorso al suddetto potere di ordinanza è infatti ammesso nei soli casi in cui non è possibile attivare le normali procedure, qui ancora esperibili per
mancanza di indizi di segno contrario.
Ebbene, a norma del citato art. 217 “quando vapori, gas o altre esalazioni … provenienti da manifatture o fabbriche, possono riuscire di pericolo o di danno per la salute pubblica, il podestà (oggi il sindaco, ovviamente) prescrive le norme da applicare per prevenire o impedire il danno”.
Il sindaco agisce in questa veste quale autorità sanitaria locale chiamato ad esercitare poteri-doveri di controllo a tutela dell’ambiente e della salute pubblica, anche in caso di persistente inerzia dei competenti organismi regionali e statali nelle suddette materie: dunque, l’oggetto proprio dell’istanza di cui si chiede in questa sede l’adempimento.
Ai sensi degli art. 216 e 217 t.u. 27 luglio 1934 n. 1265, il sindaco è infatti titolare di un generale potere di vigilanza sulle industrie insalubri e pericolose che può anche concretarsi nella prescrizione di accorgimenti relativi allo svolgimento dell'attività, volti a prevenire, a tutela dell'igiene e della salute pubblica, situazioni di inquinamento, e tale potere è ampiamente discrezionale ed esercitabile in qualsiasi tempo, sia nel momento in cui è richiesta l'attivazione dell'impianto, sia in epoca successiva (Tar Veneto 1754/1997.
Presupposto per l’esercizio di siffatto potere è la sussistenza di un concreto pericolo per l’ambiente e dunque per la salute pubblica, da valutare complessivamente a seguito di attenta ed approfondita istruttoria, e dunque previa consultazione ed avviso degli organismi competenti in materia sanitaria
ed ambientale (ASL, ARPA, etc.), nei sensi ed alle condizioni previste dall’art. 16 della legge n. 241 del 1990.
I giudici evidenziano ancora come tale potere, il cui mancato esercizio in presenza dei prescritti presupposti (fenomeni di grave inquinamento ambientale e conseguente pericolo per la salute pubblica) determina tra l’altro i reati di danneggiamento e di omissione di atti d’ufficio ai sensi dell’art. 328, comma 1, c.p., sia tuttora esercitabile –per pacifica giurisprudenza (Tar Liguria 68/1996; CdS 1080/1992)- anche in presenza di norme specifiche in materia di inquinamento come ad esempio il d.P.R. 24 maggio 1988, n. 203 (cfr. Tar Piemonte 37/1998).
Da quanto sopra detto deriva dunque, secondo il Tar, la presenza del primo requisito (sussistenza di potere amministrativo).
Secondo il giudice amministrativo e in relazione al secondo aspetto, la “legittimazione” del comitato ricorrente a chiedere l’attivazione dei poteri sindacali di cui all’art. 217 TUS può essere ricavata, in primo luogo, dalla lettura dell’art. 3-ter del decreto legislativo n. 152 del 2006 (codice dell’ambiente), come introdotto dal decreto legislativo n. 4 del 2008.
Tale disposizione, rubricata “principio dell’azione ambientale”, prevede infatti che “la tutela dell’ambiente … deve essere garantita da tutti gli enti pubblici e privati e dalle persone fisiche e giuridiche pubbliche e private, mediante una adeguata azione che sia informata ai principi della precauzione, del’azione preventiva, della correzione, in via prioritaria alla fonte, dei danni causati all’ambiente”.
Viene in questo modo consacrato il modello di “governance ambientale”, ossia di un modello di gestione dei beni ambientali non più ispirato al classico modello gerarchico ma ad un nuovo stile di governo caratterizzato da un maggior grado di cooperazione ed interazione tra poteri pubblici da una parte ed attori non statuali dall’altra parte (realtà economica e realtà sociale).
Ora, se si considera: da un lato, che la garanzia di un ambiente salubre costituisce condizione preliminare (e fondamentale) per consentire altresì un adeguato livello di tutela della salute pubblica; dall’altro lato, che lo stesso art. 217 TUS è sì preordinato al controllo della stessa salute pubblica ma, ancora più a monte, alla prevenzione o alla gestione di gravi fenomeni di inquinamento (cfr. Cass. Pen., sez. VI, 2 ottobre 1985, n. 8465), ecco che, secondo il Tar, ben può riconoscersi ad un comitato come quello in esame la legittimazione ad agire nella direzione sopra indicata.
Alle stesse conclusioni (legittimazione a richiedere un provvedimento espresso) si perviene, secondo i giudici amministrativi, considerando che la giurisprudenza amministrativa ha tra l’altro riconosciuto l’obbligo di provvedere, oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge, anche nelle ipotesi in cui l’esercizio del potere amministrativo non richiede -come nella specie (art. 217 TUS)- che il relativo procedimento sia avviato ad iniziativa di parte privata.
Sussistono infatti casi in cui, per ragioni legate alla generale doverosità dell’azione amministrativa, nonché per ragioni di giustizia ed equità, si impone l’adozione di un provvedimento ad istanza di parte anche laddove tale iniziativa non sia prevista espressamente dalla legge (CdS 7975/2004).
Secondo tale impostazione, “indipendentemente dall’esistenza di specifiche norme che impongano ai pubblici uffici di pronunciarsi su ogni istanza non palesemente abnorme dei privati, non può dubitarsi che, in regime di trasparenza e partecipazione, il relativo obbligo sussiste ogniqualvolta esigenze di giustizia sostanziale impongano l’adozione di un provvedimento espresso, in ossequio al dovere di correttezza e buona amministrazione, in rapporto al quale il privato vanta una legittima e qualificata aspettativa ad una esplicita pronuncia”.
Alla luce di quanto appena detto, se si considera anche qui che il suddetto modello di governance ambientale si fonda proprio sulla massima trasparenza dell’azione amministrativa e sulla più ampia partecipazione dei soggetti privati(preferibilmente organizzati mediante enti esponenziali) ai processi decisionali, i giudici convengono sulla necessità che gli stessi soggetti privati possano agire, a tutela degli interessi della collettività in materia ambientale e sanitaria, anche mediante la richiesta di attivazione di determinati poteri pubblicistici.
Sussiste dunque, secondo il Tar e per i motivi anzidetti anche il requisito della legittimazione, in capo al comitato ricorrente, a richiedere ed ottenere un provvedimento espresso in merito alla problematiche specificamente sollevate.
Quanto al terzo ed ultimo aspetto, la sussistenza dei “presupposti” -sebbene da intendersi in senso lato- può ben essere ricondotta, secondo i giudici, alle analisi compiute da plurimi e qualificati organismi pubblici in materia sanitaria ed ambientale (Arpa, Asl, nonché Università ) e prodotte nel presente giudizio da cui si traevano dati piuttosto allarmanti, costituiti in sostanza dalla presenza di patologie legate alla particolare incidenza di fattori di origine per l’appunto industriale; rimanendo, ovviamente, non preclusa all’autorità comunale la possibilità di attivare ulteriori canali istituzionali di consultazione a carattere tecnico-scientifico, nell’obiettivo condiviso di giungere ad una seria ed approfondita istruttoria.
Nessun commento:
Posta un commento